Giannettino Doria

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Giannettino Doria

Birthdate:
Birthplace: Oneglia, Imperia, Liguria, Italy
Death: January 1547 (22-41)
Genoa, Genoa, Liguria, Italy (killed during the Fieschi conspiracy)
Immediate Family:

Son of Tommaso Doria di Oneglia and Maria Doria
Husband of Ginetta Centurione
Father of Placidia Doria; Giovanni Andrea Doria, II principe di Melfi and Gironima Spinola
Brother of Vittoria Luigia Doria; Peretta Doria di Oneglia and Geronima (Minetta) Doria

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Last Updated:

About Giannettino Doria

DORIA, Giannettino (Giovanni). - Nobile genovese, figlio di Tomaso e di Maria Grillo, fu erede e luogotenente di Andrea Doria.

L'essere stato designato successore del grande Andrea e l'aver trovato la morte nella congiura dei Fieschi mentre era ancora giovane e al colmo della fortuna hanno fatto del D. un personaggio, nel senso romanzesco e teatrale piuttosto che storico del termine (come del resto è stato trattato nelle pagine, tra gli altri, di Rousseau e di Schiller); ed anche tutte le antiche testimonianze finiscono col lasciare suggestivamente aperti i problemi di ordine interpretativo e persino biografico che lo riguardano. E questo non tanto - o non solo - perché la congiura che decretò la morte del D. sia stata interpretata ora come l'espressione di una consapevole volontà politica, antispagnola e filofrancese (comune non solo ai Fieschi ma a una parte della nobiltà genovese), o anacronisticamente libertaria (di cui comunque l'antagonista del D., Gian Luigi Fieschi, sarebbe la personificazione), ora, più semplicisticamente, come un delitto d'onore favorito dall'invidia nei confronti del potere e delle ricchezze rapidamente acquisite dal fortunato rivale (e del resto queste interpretazioni si susseguono e si intrecciano più o meno stereotipate dalle antiche cronache alle storie recenti): i problemi sussistono perché il D. compare sempre di scorcio rispetto alle vicende in cui pure è direttamente coinvolto. Prima strumento nelle mani del grande Andrea (e perciò presente in tutte le monografie sull'ammiraglio, ma in modo occasionale e generico, anche quando si ricordano le sue azioni marinare); poi unica vittima illustre del Fieschi (e come tale altrettanto genericamente classificato in tutte le monografie sulla congiura).

Per queste ragioni anche i dati biografici del D. sono scarni, tanto che per l'erede designato del Doria mancano una data di nascita precisa (anche se deducibile come avvenuta tra il 1510 e il 1520), il luogo (forse Genova, forse il feudo di Oneglia; certo fu allevato in campagna, come sottolineano le fonti, Casoni compreso, che pretendono spiegare l'altezzosità del carattere del D. come derivata dalla sua condizione di "paesano" inurbato) e notizie sicure sulle vicende anteriori al suo ingresso nella casa del principe.

Eppure anche il padre del D., cugino di primo grado di Andrea, aveva svolto un ruolo di rilievo nella "liberazione" di Genova operata dall'ammiraglio nel 1528: tanto è vero che il governo della Repubblica, nello stesso decreto a favore di Andrea, aveva riconosciuto anche a Tomaso e al fratello di lui Francesco (o Franco) e ai loro discendenti maschi (praticamente solo il D. allora giovanissimo) sia i privilegi relativi alla casa di piazza S. Matteo sia l'esenzione in perpetuo dalle gabelle, come benemeriti della patria.

L'adolescente D. si trovava dunque ad essere l'unico discendente maschio di tutto questo ramo dei Doria: il nonno Giovanni, fratello del Ceva padre di Andrea Doria, aveva avuto una femmina, Pellegra (poi sposa a Ludovico Doria, senza figli), e i due maschi Tomaso e Francesco. Dal matrimonio di Tomaso con Maria Grillo di Lorenzo, oltre al D., erano nate tre femmine, Geronima, Peretta e Vittoria (poi coniugate rispettivamente con Tomaso Doria di Paolo, con Giulio Cibo in prime e con Filippo del conte Filippino Doria in seconde nozze, e col marchese Giuseppe Malaspina); Francesco aveva avuto tre femmine rimaste nubili, e nessun altro dei cugini di quella generazione (Onorato di Giacomo; Agostino e Gerolamo di Branca; David, Raffaele e il grande Andrea di Ceva) aveva avuto figli. Il padre del D. morì probabilmente tra il 1529 e il 1530 e il D., già iscritto nel 1528 all'albo della nobiltà, sembra aver trascorso un periodo di sbandamento: una fonte manoscritta (Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. X, 12, 50) parla di "disgusti" che il D., giovane di pochi mezzi e di "ingegno acre e feroce", avrebbe provocato in Andrea che "non lo potea sentir nominare"; ma poi lo zio Franco Doria avrebbe interceduto per lui e ottenuto di avviarlo alla marineria sotto la sua guida. Il coraggio dimostrato dal giovane D. sul mare avrebbe spinto il principe, ormai deluso dal figliastro Marc'Antonio Del Carretto, a trasferire sul D. il suo interesse e poi la sua predilezione.

Marc'Antonio, quarto e ultimo figlio di Alfonso V marchese Del Carretto e di Peretta Cibo, era stato adottato da Andrea (che voci maligne volevano fosse il vero padre) dopo che nel 1527 era stato solennemente reso pubblico il matrimonio di Andrea con Peretta, vedova del primo marito; quindi era stato nominato luogotenente dell'ammiragliato di Spagna. Quando poi, nel 1531, Andrea aveva ricevuto da Carlo V il principato di Melfi, mantenuto per sé il titolo, aveva assegnato la cospicua rendita annuale a Marc'Antonio che, sposata due anni dopo Vittoria de Leyva, vi si trasferiva, incurante dello sdegno del principe, con cui era ormai in contrasto sempre più aperto, nella presuntuosa certezza della inalienabilità dei diritti acquisiti. Invece Andrea, nel suo disegno politico, come "principe" aveva bisogno di un "delfino" che assicurasse la continuità dello statu quo alla classe dirigente genovese che nel suo disegno vedeva garantiti i propri interessi, e come ammiraglio aveva bisogno di un luogotenente audace sul mare ma ossequiente alle sue direttive, tanto più che gli altri grandi marinai della famiglia (coi quali manteneva il tessuto di manovra delle galee imperiali nell'area mediterranea premuta dalla coalizione franco-mussulmana) erano o occupati in personali ambiziosi progetti (Antonio) o troppo maturi d'età (Francesco e il conte Filippino) per poter garantire ad Andrea il mantenimento di quella "compagnia di ventura" sul mare che, resa per tanti anni solidale proprio dai vincoli familiari, costituiva pur sempre la base (anche se sempre più formale che sostanziale) del suo potere politico di grande assentista e dei gruppi finanziari a lui collegati: dell'amico Adamo Centurione prima di tutti.

L'occasione della rapida ascesa del D. sembra offerta proprio dalla volontà di cementare con un vincolo matrimoniale il sodalizio Centurione-Doria. Adamo Centurione avrebbe chiesto al principe di sposare la propria figlia Ginetta con Nicolò Doria, figlio di Gerolamo, ormai cardinale (in debito di riconoscenza con Andrea per l'ottenuta porpora). Ma il cardinale, che sperava come nuora in una figlia di Sinibaldo Fieschi, oppose un inopinato rifiuto alla ricchissima dote di Ginetta. Andrea allora propose al Centurione il D., sul quale aveva deciso di trasferire con scrittura solenne ogni sua eredità. Il matrimonio fu celebrato nel 1537; due (o tre) anni dopo nasceva Giovan Andrea.

Proprio nello stesso breve arco di anni il D. divenne onnipresente nella vita di Andrea, nella cui villa di Fassolo risiedeva con la famiglia. Nell'estate 1537 partecipò alla spedizione che da Messina (dove si era incontrato con Antonio Doria e Garcia di Toledo) Andrea, forte di 28 galee ben armate, condusse contro l'armata di Solimano I a Cefalonia. Nel porto di Corfù sorpresero e catturarono 10 navi da carico nemiche; poi, durante il ritorno, presso le isole Merlere, due galee turche e una fusta, catturata personalmente da Giannettino Doria. Nell'inverno tra il 1537 e il 1538 Andrea fece armare 5 nuove galee; quindi, nel marzo, partendo per la Spagna con Adamo Centurione per abboccarsi con Carlo V, lasciò al D. l'incarico di provvedere alle riparazioni e all'approvvigionamento della flotta, in quel momento di 20 galee. Alla guida di queste il D. andò poi a prelevare Andrea, diretto a Nizza per presenziare all'incontro tra l'imperatore e il pontefice, che ancora il D. trasportò da Savona con 10 galee di Andrea, dal 10 al 16 maggio, con forzata sosta a Monaco. Nella stessa estate del '38, sempre agli ordini di Andrea, il D. partecipò alla grande e sfortunata spedizione coalizzata contro il Barbarossa; durante l'inverno successivo ebbe l'incarico di provvedere ai rifornimenti dei presidio di Castelnuovo, vicino alle Bocche di Cattaro, presidio che il Barbarossa riuscì a conquistare nella primavera del '39, nonostante il tentativo di soccorso messo in atto dal D. per ordine di Andrea. Ma la grande occasione di conquistarsi una personale gloria militare si presentò al D. nell'estate del '40 quando, alla guida delle 21 galee di Andrea (che in quel momento si trovava in Sicilia), sorprese nel golfo di Girolata in Corsica la flotta del corsaro Dragut.

L'impresa fu clamorosa: il D. riuscì a catturare 9 degli 11 vascelli (tra cui 2 galee) e Dragut stesso, che condusse in catene a Genova, nonché a liberare duemila cristiani tenuti prigionieri tra l'isola di Capraia e Pirro in Corsica. Anche se pochi anni più tardi Dragut fu riscattato (secondo la posteriore testimonianza del figlio del D., Giovan Andrea, per compiacere ai "comodi" dei Lomellini che operavano a Tabarca), la fama del D. come capitano di mare divenne enorme, tanto più che l'anno dopo, nella disastrosa spedizione di Algeri guidata dallo stesso Carlo V (nel naufragio furono decimate anche le galee di Andrea Doria), il D. riportò somma lode per aver messo in salvo le truppe imperiali nella loro ritirata.

Nel maggio 1542, al riacutizzarsi del conflitto franco-imperiale, Andrea Doria non era ancora pronto con la nuova flotta; ciononostante affidò al D. il comando di una squadra e l'incarico di rifornire Perpignano, alla frontiera dei Pirenei, assediata da uno dei tre eserciti francesi. Dall'anno successivo, nonostante l'imperversare del conflitto, il sacco di Nizza, la presenza dinamica di Andrea sulla scena militare e diplomatica, il D. non appare direttamente impegnato in azioni di guerra. Invece, nel gennaio 1543, con alcune galee si recò ad Avenza per imbarcare i novelli sposi Gian Luigi Fieschi ed Eleonora Cibo e trasportarli a Genova. Da quel momento, nella vicenda del D. risulta difficile districare da un "privato" fortemente romanzato la realtà dei fatti e le loro possibili connessioni politiche.

La bellezza di Eleonora e i presunti tentativi di seduzione del D., la sua arroganza anche nei confronti dei potenti della città, arroganza con la quale forse tentava di mascherare la mancanza di doti politiche e diplomatiche, addirittura precedenti rancori del Fieschi per un matrimonio mancato con Ginetta Centurione andata poi sposa al D. (ma non solo le date sembrano escluderne anche l'ipotesi), la gelosia del Fieschi rivolta pure all'affetto che il vecchio Doria nutriva nei confronti del D. e per i beni di cui andava colmandolo, il suo desiderio di vendetta che lo avrebbe spinto a cercare le alleanze della Francia, del papa, del duca di Parma Pier Luigi Farnese e degli altri signori d'Italia legati alla Francia, sono in gran parte elementi da romanzo. Il retroscena politico della congiura in cui il D. trovò la morte va ricercato invece nella profonda trasformazione che si era operata in seno alla classe dirigente genovese negli ultimi venti anni: da quando cioè, quattro anni dopo la riforma doriana del 1528, la morte del padre di Gian Luigi, Sinibaldo Fieschi (la cui alleanza e piena solidarietà con Andrea Doria aveva garantito il successo del programma dell'"Unione") aveva segnato l'inizio della progressiva emarginazione della nobiltà feudale per lasciare il posto a quella finanziaria, bene espressa da Adamo Centurione. Come il matrimonio tra il D., erede di Andrea, e Ginetta, figlia del Centurione, sembra la metafora dell'avvenuta trasformazione (il nuovo gruppo di controllo si regge sulla convergenza di assentisti di galee come il Doria e di grandi banchieri come il Centurione), così la congiura del giovane Fieschi, che mirava, con l'eliminazione di Andrea Doria, del D. e di Adamo Centurione, alla "decapitazione pura e semplice del partito avversario" (Costantini, p. 40), esprime il disperato tentativo della vecchia aristocrazia feudale, ormai esautorata, di bloccare un processo inarrestabile.

Il colpo di mano, preparato con cura da Gian Luigi (che aveva cercato adesioni anche tra gli artigiani tessili e gli strati plebei, e cui i feudi appenninici avevano fornito il grosso dei contingenti armati), subì all'ultimo momento una imprevista anticipazione. Era stato fissato per il 4 genn. 1547, al termine dei festeggiamenti per il matrimonio tra Giulio Cibo, cognato di Gian Luigi, e Peretta, sorella del D., festeggiamenti cui sarebbe intervenuta tutta la famiglia Doria. Ma poiché il D., dovendo all'improvviso recarsi fuori Genova, non avrebbe potuto essere presente, il colpo fu anticipato alla notte del 2 gennaio (giorni comunque significativi perché, appena scaduto il mandato dogale di G. B. De Fornari, non era ancora stato eletto il nuovo doge). Il pomeriggio del 2 gennaio il Fieschi si recò alla villa di Fassolo a visitare Andrea sofferente e si intrattenne col D., cui comunicò l'intenzione di uscire la sera con una galea per giustificare anticipatamente il rumore di armati proveniente dalla darsena. In effetti, l'azione notturna di sorpresa riuscì: gli uomini del Fieschi si impadronirono delle porte della città e della darsena; dalle galee i galeotti fuggirono; ma, mentre distribuiva i presidi alle galee, Gian Luigi scivolò da un pontile e annegò. Il D., accorso alla porta di S. Tomaso già occupata dai rivoltosi, fu ucciso da un soldato, tale Agostino Bigellotti di Barga, con un colpo di archibugio (o, secondo altri, di scure). L'incalzare degli eventi successivi (Adamo Centurione, Filippino e Agostino Doria e altri familiari e amici che si preoccupano di far fuggire Andrea, rifugiatosi a Masone; il ruolo di Gerolamo Fieschi nella prosecuzione del progetto del fratello; la tregua; il pronto ritorno di Andrea e la sua vendetta; la riforma legislativa detta del "garibetto") fanno si che del D., una volta ucciso, si perdano letteralmente le tracce: benché le condoglianze arrivino ad Andrea da tutti i potenti (anche da quelli forse in qualche modo implicati nella congiura), il D. sembra non aver avuto né funerale né celebrazioni funebri (e questo potrebbe essere ovvio, date le circostanze, ma potrebbe anche avere un significato politico) né sepolcro. E appare strano che il vecchio Doria non abbia provveduto ad erigergli un monumento nella chiesa gentilizia di S. Matteo, dove riposeranno, tra tanti membri della famiglia Doria, egli stesso e poi Giovan Andrea, a meno che non considerasse l'eventuale cenotafio come il visibile simbolo di questa sua sconfitta. L'effigie del D. resta invece affidata al bel ritratto giovanile conservato in palazzo Doria Pamphilj a Roma e tradizionalmente attribuito al Bronzino, in rapporto con un soggiorno romano del pittore (e quindi anche del D.) del 1546. E certa elusività del personaggio sembra riproporsi ancora attraverso questo ritratto di attribuzione incerta e che è possibile datare con certezza solo adquem, col termine della morte del Doria. Ben documentata invece la discendenza del D.: da Ginetta Centurione ebbe tre maschi (Giovan Andrea, Carlo, Pagano) e tre femmine: Placidia, poi sposa a Nicolò Spinola di Luca; Geronima, in Giovanni Spinola di Leonardo, e Maria, nubile. Giovan Andrea, rimasto orfano ad otto anni, avrebbe raccolto giovanissimo l'eredità paterna nel cuore - e in tutte le sostanze e privilegi - del vecchio Andrea Doria. Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. XIV, 3, 13: G. A. Doria, Vita scritta da lui medesimo, cc. 48, 78; Ibid., m.r. X, 2, 50: Notizie su Andrea Doria, c. 365; Ibid., m.r. V, I, 24: Note biografiche sopra diversi Doria, c. 7v; m.r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, cc. 50, 51; U. Foglietta, Istorie di Genova, Genova 1597, IV, pp. 74 s.; Id., Elogi degli uomini chiari di Liguria, a cura di M. Stagheno, Genova 1860, pp. 219-221; A. Mascardi, Congiura del conte G. L. Fieschi, Anversa 1629, passim; U. Bonfadio, Annali della storia di Genova, Brescia 1759, pp. 257, 271, 281, 283, 321 ss., 343-347, 367, 403; F. Casoni, Annali di Genova, Genova 1800, I, pp. 135, 137; II, pp. 158 ss.; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, pp. 26, 30; J. Doria, La chiesa di S. Matteo, Genova 1860, p. 210; L. Capelloni, Vita di Andrea Doria Genova 1863, pp. 96 s., 102, 108 s.; E. Bernabò Brea, Sulla congiura di G. L. Fieschi, Genova 1863, passim; E. Callegari, La congiura del Fiesco secondo i documenti degli archivi di Simancas e di Genova, in Ateneo veneto, s. 4, XVI (1892), ad Indicem; C. Capasso, Paolo III e l'Italia, Camerino 1901, p. 396; L. Staffetti, Il libro di ricordi della famiglia Cybo, in Atti d. Soc. ligure di stor. patria, XXXVIII (1910), ad Indicem; I. Luzzatti, Andrea Doria, Milano 1943, pp. 155, 168, 181 ss.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, pp. 212 s., 217 (con bibl., II, pp. 101-105); R. Bracco, Gianandrea Doria, Genova 1960, p. 215; I. Baccheschi, Bronzino, Milano 1973, p. 99; C. Costantini, La Repubblica di Genova, Torino 1978, pp. 39-42, 46 s., 64; E. Grendi, A. Doria, uomo del Rinascimento, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, XCIII (1979), 1, pp. 109 ss.; P. Lingua, Andrea Doria, Novara 1984, ad Indicem.

Battilana, Doria, Tav. (30).

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Giannettino Doria's Timeline

1510
1510
Oneglia, Imperia, Liguria, Italy
1538
1538
1539
February 5, 1539
Genoa, Metropolitan City of Genoa, Liguria, Italy
1547
January 1547
Age 37
Genoa, Genoa, Liguria, Italy
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